di Roberto Messa
(editoriale TCS febbraio 2018)
L’ottantesima edizione del torneo di Wijk aan Zee si è conclusa il 28 gennaio con uno spareggio lampo che ha decretato vincitore Magnus Carlsen. Dunque niente di nuovo all’ombra delle dune e degli altiforni della costa olandese: è la sesta volta che Magnus vince il torneo Tata Steel.
A guidare la classifica dall’inizio alla fine, seppur variamente accompagnato, è stato questa volta il beniamino locale Anish Giri, che come Carlsen ha concluso imbattuto con 9 punti su 13, prima di cedere al campione nella prima partita di spareggio lampo (patta la seconda).
Il 2018 sarà dunque l’anno del ventitreenne olandese, ex bambino prodigio nato a San Pietroburgo da madre russa e padre nepalese? È un po’ la stessa domanda che ci poniamo da quando Carlsen ha conquistato la vetta della graduatoria all’inizio del 2010, cui è seguito il titolo mondiale nel 2013 e il record del punteggio Elo più alto nella storia degli scacchi nel 2014.
Da allora i papabili contendenti del norvegese si sono alternati in una serie inconcludente di giri di giostra, sulla quale sono saliti a turno Fabiano Caruana, Levon Aronian, il sempreverde Anand e il russo Sergey Karjakin, sfidante per il titolo mondiale nel 2016.
Altri nomi sono emersi a sprazzi come possibili anti-Carlsen: gli americani Nakamura e So, il francese Vachier-Lagrave, il cinese Ding Liren e perfino il non può giovane Kramnik che è pur sempre un giocatore di classe unica.
L’impressione è che alla biglietteria di questa giostra mondiale non si sia ancora affacciato l’uomo nuovo di questo millennio e che Magnus manterrà salda la presa ancora per un bel po’… a meno che non si stanchi di vincere o non decida di dedicare la sua vita ad altro, il che è sempre possibile, ma da quello che si può vedere decisamente improbabile.
Allo storico torneo dei Paesi Bassi dedicheremo naturalmente buona parte della rivista del mese venturo. Qui vogliamo ricordare la ferale notizia che il 17 gennaio 2008 piombò sull’ambiente scacchistico proprio durante la settantesima edizione del torneo, che allora si chiamava Corus, prima che le acciaierie locali venissero acquisite dal gruppo industriale indiano Tata.
Quel giorno moriva in Islanda Robert James Fischer, aveva 64 anni ed era stato campione del mondo nel 1972. Sono passati 45 anni dallo storico match di Reykjavik, ma Fischer è ancora oggi il personaggio più conosciuto e controverso nella storia degli scacchi, il campione che molti considerano il più grande di sempre, un uomo che non ebbe pace in vita e con la memoria del quale non riusciremo mai a fare pace completamente.
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