di Roberto Messa
(Editoriale TCS febbraio 2010)
Che posizione occupa oggi lo scacchismo italiano nel mondo? La domanda sorge spontanea, dopo l’ottimo risultato di Godena e Caruana al 52º Torneo di Capodanno e vedendo che al momento di andare in stampa Fabiano Caruana e Daniele Vocaturo stanno lottando senza timori reverenziali nei tornei Corus di Wijk aan Zee, il tempio degli scacchi internazionali. Oggi ci sembrano normali cose che fino a tre anni fa non osavamo nemmeno sperare, come l’avere un grande maestro diciassettenne che giocando con brio patta con Anand, Kramnik, Ivanchuk e Karjakin nel supertorneo più famoso. Oggi Caruana è 51º nella graduatoria mondiale ed è reduce da una Coppa del mondo in cui è stato tra i protagonisti fino agli ottavi di finale. Eppure non mancano i tifosi che vogliono vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto: “Caruana non ha il talento di Magnus Carlsen e si dovrà accontentare di entrare nei primi dieci del mondo,” scrivono nei blog dei sinceri appassionati che non sono nemmeno tra i migliori dieci del loro circolo.
I freddi numeri ci dicono che l’Italia è attualmente al 33° posto nella classifica mondiale dei Paesi, ottenuta calcolando la media Elo dei dieci più forti; rispetto all’ultima rilevazione, abbiamo guadagnato due posizioni.
È vero, ci manca una pattuglia più consistente di giovani grandi maestri, ma intanto la Fide all’inizio di gennaio ha ratificato il titolo di Maestro Internazionale ad Axel Rombaldoni e Daniyyl Dvirnyy, nonché quello di Maestro Internazionale Femminile a Marina Brunello. E solo in questo numero della rivista diamo notizia delle norme conseguite da Francesco Bentivegna (la terza ed ultima), Alexander Bertagnolli e Folco Castaldo.
Ci sono altri indicatori, non strettamente agonistici, di cui possiamo essere orgogliosi: l’Italia si è guadagnata da tempo un posto sul podio per la quantità e la qualità dei tornei che organizza, mentre il numero di appassionati che gioca a scacchi in internet a qualsiasi ora del giorno è assolutamente in linea con quello delle nazioni scacchisticamente più avanzate.
Da questo mese sono affiancato nella conduzione di Torre & Cavallo da Dario Mione, che assume il ruolo di direttore editoriale. Dario, maestro Fide e giornalista professionista, da dieci anni è redattore del nostro settimanale web Messaggero Scacchi e con il suo apporto di energie ci permetterà di migliorare ulteriormente la qualità della rivista, nonché di ampliare il campo d’azione della nostra casa editrice Messaggerie Scacchistiche.
Quando poi in Italia avremo una rivista che dedichi abbastanza spazio agli scacchi giocati, invece di sprecarlo in chilometriche e inutili interviste o nell’ennesima, interminabile storia del campionato del mondo, forse faremo un ulteriore, significativo passo avanti.
Andrea – comprendo il tuo punto di vista, ma ti assicuro che ci sono molti lettori che la pensano in modo diametralmente opposto. Ogni numero della rivista risente di una serie di circostanze contingenti e se, per fare un esempio, il numero di dicembre 2009 era un po’ sbilanciato sul versante delle pagine “da leggere”, devi riconoscere che quello precedente aveva molte pagine di partite sul torneo di Nanchino (con i commenti dei protagonisti raccolti e rielaborati sul posto dal GM Ian Rogers). In questo scorcio di 2010, in Torre & Cavallo di febbraio c’è una netta prevalenza di pagine con partite commentate, ancora di più ce ne saranno in marzo con i vari reportage sul Corus che includeranno partite commentate da Kramnik, Ivanchuk, Rogers e Vocaturo. Inoltre una partita di Wijk aan Zee commentata da Caruana ci arriverà solo per il numero di aprile – Fab Fab non ha potuto inviarcela prima a causa dei suoi numerosi impegni agonistici.
Siamo lontani dalla perfezione, lo so, ma di certo anche noi saremmo in condizioni di fare di più se avessimo un mercato anglofono e francofono, un sistema postale e di distribuzione nelle edicole di efficienza almeno paragonabile ad altri paesi europei… o una federazione con 90mila tesserati come la Germania, eccetera…
Che ci siano molti lettori a pensarla in modo diametralmente opposto al mio è il nocciolo del problema: quando un direttore di testata non sentirà più il bisogno d’inseguire le esigenze di questo tipo di lettori, vorrà per l’appunto dire che il livello di comprensione del suo “mercato” sarà cresciuto significativamente.
Quanto poi contribuiscano le riviste stesse ad elevare tale livello o quanto sia invece il gusto del lettore ad influenzare l’offerta editoriale, è questione che meriterebbe un discorso ad hoc, ma essendo del tipo uovo o gallina, non so se porterebbe da qualche parte.