Da un articolo di Dario Mione sul numero di gennaio 2010 di TCS.
“La fortuna, a scacchi, è un concetto di difficile definizione e molto relativo. E, in ogni caso, per essere fortunati ci vuole quasi sempre la collaborazione dell’avversario, che può, fra l’altro: 1) commettere una svista perché sotto pressione o in ristrettezza di tempo; 2) rilassarsi e “mollare la presa”, consentendoci di raddrizzare una partita persa o quasi; 3) valutare in maniera completamente errata una posizione; 4) proporci patta, per qualche insondabile motivo, in posizione chiaramente superiore per lui; 5) addormentarsi sulla posizione e perdere per tempo una partita ancora tutta da giocare.
Le circostanze, ad ogni modo, sono pure altre e innumerevoli”.
Ed eccoci all’argomento del dibattito: secondo voi esiste la fortuna negli scacchi? Come definireste il concetto?
Potete dire la vostra qui o sul gruppo Facebook di Torre & Cavallo – Scacco!, all’indirizzo www.facebook.com/group.php?gid=390280016600&ref=ts (iscrivetevi, se non l’avete già fatto!).
Un commento al predetto articolo arrivato via mail.
Umberto Farachi: “Per inquadrare bene il problema della fortuna nel gioco degli scacchi occorre prima di tutto intenderci sul significato di fortuna applicato ad un gioco che apparentemente dovrebbe esserne esente. Nel nostro gioco è fortuna il trovarsi inaspettatamente in una situazione di vistoso vantaggio.
Quindi contesto gli esempi che Dario Mione riporta sul suo articolo comparso a pagina 17 di Torre & Cavallo dello scorso gennaio: infatti la svista commessa dall’avversario è parte integrante della partita e tutte le partite che finiscono con la vittoria di uno dei contendenti possono essere attribuite ad una svista!
E tutti gli esempi di Mione sono riconducibili alla condotta umana che sancisce alla fine chi meglio ha operato, chi si è preparato atleticamente e mentalmente, chi ha studiato libri ed avversari e soprattutto chi sa giocare meglio.
Detto questo, cosa intendo per inaspettato vistoso vantaggio? Cercherò di spiegarmi con un esempio banalissimo che si può applicare a situazioni e processi mentali molto più complicati: poniamo che io decida di sacrificare una Torre per ottenere una posizione di matto in tre mosse ma che dopo aver eseguito la mossa mi accorga che il matto non è inevitabile come credevo per cui normalmente non mi resterebbe che abbandonare; però, se a seguito del detto sacrificio ne è scaturita una situazione in virtù della quale esiste la possibilità di guadagnare la Donna, cosa di cui non me ne ero reso conto prima, io vinco la partita ma non per mio merito, ma per mera fortuna!! Credo che chi leggerà questa mia dissertazione ricorderà di avere avuto fortune del genere, più frequentemente nelle partite a gioco rapido. Da notare che il mio ipotetico avversario non ha nulla da recriminare poiché si è messo lui nella posizione che portava alla perdita della Donna e la sua sfortuna è solo quella di avere avuto un avversario fortunato. Quindi la sfortuna non esiste, la fortuna sì e senza la collaborazione dell’avversario”