di Roberto Messa
(editoriale TCS febbraio 2016)
Marvin Minsky, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, venuto a mancare il 24 gennaio all’età di 88 anni, scrisse che il problema dell’intelligenza è “disperatamente profondo”. Minsky, come altri matematici a partire da Alan Turing, già più di mezzo secolo fa prese molto sul serio le affascinanti profondità degli scacchi come terreno di studio dell’intelligenza. Altri studiosi, non solo di informatica e matematica, ma anche di scienze umane come la psicologia e la pedagogia, si accorsero che gli scacchi, anziché offrire facili risposte ai loro interrogativi, spalancavano orizzonti via via più ampi e inafferrabili. Si scoprì che matematica, musica e scacchi adoperano le stesse aree del nostro cervello e si arrivò a chiamare in causa discipline tanto disparate quanto la filosofia e la fisica quantistica.
Su un piano più concreto, per esempio riguardo all’impiego dell’informatica nella preparazione agonistica, è interessante constatare come le diverse scuole di pensiero possano convivere con pari dignità. Se è vero che ai massimi livelli mondiali l’impiego del computer è ormai diventato imprescindibile, è altrettanto vero che una significativa minoranza di maestri e grandi maestri continua ad ottenere risultati eccellenti prediligendo un approccio il meno digitale possibile.
Anche nell’insegnamento degli scacchi nelle scuole, dove le finalità formative vengono prima di tutto, ci sono in Italia e in Europa progetti che prevedono l’impiego di piattaforme didattiche e di gioco online, abbracciando l’idea che le nuove generazioni debbano sviluppare fin dai primi anni questa forma mentis. Al contrario c’è chi ritiene che, proprio perché i bambini hanno già fin troppe occasioni di giocare e imparare mediante il computer, gli scacchi scolastici possano offrire modalità di apprendimento e di socializzazione più tradizionali, dato che è nella diversità e nella molteplicità degli stimoli che si arricchisce un intelletto in formazione.
Perfino in un campo apparentemente banale come la soluzione di esercizi di allenamento, emergono visioni della mente umana che avvalorano il vecchio modo di dire che il mondo è bello perché vario: alcuni ritengono che i test classici, dove si realizzano temi tattici esemplari, istruttivi ed esteticamente gratificanti siano utili in quanto in grado di stimolare la creatività e di appassionare il solutore-homo ludens, mentre altri sottolineano come in partita le situazioni da affrontare siano il più delle volte confuse, complicate da possibilità poco affascinanti ma efficienti, e che perciò sia da preferire un allenamento al calcolo tattico più a 360 gradi. Esercizi di questo secondo tipo si trovano sicuramente più nel web che nei libri “classici”.
Il sommario del numero di febbraio in formato RTF