La Regina degli Scacchi – un successo planetario

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Dal 23 ottobre la piattaforma di streaming Netflix ha reso disponibile “La Regina degli Scacchi” una miniserie in sette episodi tratta da un romanzo scritto nel 1983 dall’americano Walter Tevis  (titolo originale “The Queen’s Gambit”).
Nelle prime settimane la serie ha conquistato il primo posto nella classifica dei più visti su Netflix in molti paesi, tra cui l’Italia, il che significa che decine se non centinaia di milioni di persone vedranno queste sette ore circa di puro cinema dedicato agli scacchi.

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I commenti tra gli appassionati italiani ed esteri sono entusiasti, salvo alcune legittime critiche per la psicologia apparentemente border-line del personaggio e per le inevitabili semplificazioni di alcune tecnicalità connesse alle partite di torneo, di cui naturalmente ci accorgiamo solo noi scacchisti. Il livello generale è molto buono, non a caso le sequenze alla scacchiera sono state elaborate con un consulente d’eccezione, Garry Kasparov, mentre per la ricostruzione degli ambienti scacchistici statunitensi degli anni Sessanta è stato chiamato Bruce Pandolfini, che di quell’epoca è stato molto di più che un semplice testimone.

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La storia è quella di una bambina geniale, Beth Harmon, che impara a giocare dal custode delle caldaie nello scantinato di un orfanotrofio. Le “pillole verdi” – che  in quell’epoca verosimilmente venivano somministrate con colpevole leggerezza ai bambini rinchiusi negli istituti – hanno un effetto psicotico sulla piccola Beth, portandola da un lato a giocare a scacchi “oniricamente” (un fenomeno che gli scacchisti più forti ben conoscono) nelle notti insonni nel lugubre dormitorio, dall’altro la rendono dipendente, con ripercussioni non lievi sulla sua personalità da giovane adulta. Ma la protagonista non è il solito cliché “genio e sregolatezza”: è una ragazza vivace, a cui piace vestire abiti eleganti, capace di stabilire amicizie profonde con le donne a lei più vicine e rapporti di diversa gradazione con gli uomini (decidendo lei quanto amicali o sentimentali). Lotta contro le sue debolezze – l’incostanza, i fantasmi dell’infanzia, la dipendenza da psicofarmaci e alcool – ma ogni volta riesce a rialzarsi… praticamente è la storia di milioni di persone.

Sono chiarissimi i punti di contatto tra Beth Harmon e Bobby Fischer: l’infanzia problematica, il difficile confronto con i grandi maestri russi, con i quali anche Beth deve combattere “una contro tutti” ma anche la stima reciproca, perché alla fine l’inesauribile passione per gli scacchi è un linguaggio che va oltre ogni cortina di ferro.

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Come Fischer, Beth decide di imparare il russo per poter leggere le pubblicazioni sovietiche (e per capire quello che si dicono gli avversari). Come Fischer, Beth rifiuta una sponsorizzazione di cui avrebbe un grande bisogno perché la sua integrità glielo impedisce, nonostante sia una vera americana con un rapporto molto pragmatico con il denaro.

Alcuni si sono chiesti perché l’autore non abbia impiegato nomi di grandi maestri e giocatori reali. Walter Tevis lo spiega nella “Nota dell’Autore” che precede il romanzo (pubblicato in Italia da Minimum Fax nel 2007): “La maestria negli scacchi dei Grandi Maestri Robert Fischer, Boris Spassky e Anatoly Karpov è da anni una fonte di godimento per giocatori come me. Dal momento però che La regina degli scacchi è un’opera di fantasia, mi è sembrato opportuno non farli figurare tra i personaggi, anche solo per evitare contraddizioni con fatti reali.”

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Un’altra questione interessante suscitata dalla trama di The Queen’s Gambit è il perché una donna, una giocatrice, in un ambiente considerato ancora oggi piuttosto maschilista, figuriamoci negli anni Sessanta. Ma il genere femminile esce molto bene da tutta la storia; per esempio ho trovato molto interessante e complesso il personaggio della madre adottiva: una “desperate housewife” che si dimostra molto più vitale del marito (il quale, tutto preso e appiattito dal suo ruolo economico nella società, si dimostra una totale nullità sul piano umano), ed è toccante la complicità/solidarietà che si costruisce tra le due donne. Per inciso la coppia dei genitori adottivi ci ricorda come negli anni Sessanta le persone fossero prigioniere, a volte tragicamente, del ruolo imposto loro dalla società, del moralismo ipocrita che li schiacciava.

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Se mi è permesso confessare che negli ultimi episodi mi sono innamorato del personaggio, deve essere anche grazie all’interpretazione “da Oscar” dell’attrice, Anya Taylor-Joy che in un’intervista ha dichiarato; “Ho dato l’anima per questo ruolo. Eravamo io e Beth, e Beth e me. Abbiamo affrontato un viaggio insieme. E non ho mai avuto un legame così forte con un personaggio: se lei passava una brutta giornata, succedeva lo stesso anche a me”. E poi: “Non riesco a spiegarvi quanto fossi connessa con il personaggio. Alla fine delle riprese, volevo solo scoppiare a piangere. Ero così felice per lei”.

Tutti noi che abbiamo dedicato la nostra gioventù agli scacchi ci siamo immedesimati, rivivendo nel nostro piccolo l’euforia della vittoria e la disperazione della sconfitt, le notti “difficili”, i pochi soldi e lo stress emotivo di passare dai grandi alberghi di alcuni tornei ai letti di fortuna in casa di sconosciuti, se non anche le pensioncine malfamate o le sale di aspetto delle stazioni.

Anya Taylor-Joy ha dato un saggio della sua formazione come ballerina in una delle scene più drammatiche, sulle note della celeberrima “Venus” degli Shocking Blue. La clip è in Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=66HKurYd6lw

Eccellente la fotografia, sia nella rappresentazione dell’America negli anni tra Kennedy e Nixon, sia nella parte più emozionante di tutta la vicenda, quella ambientata a Mosca.

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Nel gruppo Facebook “Torre & Cavallo Scacco” la discussione su questa serie Netflix è animata. Tra le centinaia di commenti non mancano quelli che evidenziano le storture scacchistiche, come l’abbandono eseguito facendo cadere il Re, una rappresentazione plateale già vista in tanti, troppi altri film, al posto della classica stretta di mano (regolamentare nelle partite di torneo… in tempi non-covid).

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Alcuni hanno fatto notare la scalata agonistica troppo rapida e lineare della protagonista, la totale assenza di partite patte, le mosse eseguite una dopo l’altra senza adeguate pause di riflessione. Sicuramente alcune di queste imprecisioni si potevano evitare, ma rispetto a molti altri precedenti la qualità delle scene scacchistiche è molto buona. Se per esempio riguardiamo la celebre scena del film “007, dalla Russia con amore” del 1963 (https://www.youtube.com/watch?v=mB25sTdXkM0&fbclid=IwAR25fWJ2oVCAFEOAaY-d2TuqI0P_NIC9do2ZoXOH16Pb6NZWZ6UfDTJR1cI) il giocatore solleva e muovi i pezzi con una gestualità a metà strada tra il teatrale e il modo goffo dei dilettanti, mentre in “The Queen’s Gambit” la manualità dei protagonisti è quella tipica degli scacchisti consumati. Vuol dire che sono stati ben addestrati, perché in un’intervista Anya Taylor-Joy ha dichiarato che prima di questo lavoro era completamente digiuna di scacchi (a proposito di come “noi” muoviamo i pezzi, di sicuro sarà capitato anche a voi di accompagnare in qualche sala torneo persone estranee all’ambiente che, per prima cosa, dicevano che anche se non capivano niente del gioco erano affascinate dai movimenti eleganti e precisi delle “nostre” mani). Anya ha inoltre paragonato le sue performance alla scacchiera a “una danza con le dita”.

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Riguardo alle mosse eseguite velocemente, non mancano le tecniche cinematografiche per rendere l’idea del trascorrere del tempo senza allungare le scene a dismisura; per esempio avrebbero potuto passare dall’inquadratura della giocatrice pensante all’orologio, poi di nuovo alla giocatrice e all’orologio ma con la lancetta avanzata di 7 o 15 minuti, il tutto in pochi secondi. In questo modo avrebbero anche “drammatizzato” come si doveva il ruolo dell’orologio, che purtroppo rimane molto marginale e non aggiunge quella suspence agonistica che i giocatori di torneo ben conoscono.

Nell’ambiente scacchistico ci si chiede se questo grande successo contribuirà alle diffusione del gioco e ci si rammarica un po’ del fatto che sia vietato agli under 14 (sicuramente è stato classificato VM14 non per scene di sesso – poco o niente – ma per gli abusi di alcool e altre sostanze).

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Un’ultima annotazione riguardo ai titoli dei sette episodi, tutti a tema scacchistico: 1. Aperture, 2. Scambi, 3. Pedoni doppiati, 4. Mediogioco, 5. Forchetta, 6. Sospensione, 7 Finale.

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Tra le tante recensioni che si trovano nel web, segnalo l’articolo scritto dal grande maestro australiano Ian Rogers (collaboratore storico della nostra rivista Torre & Cavallo Scacco) per il Sydney Morning Herald
https://www.smh.com.au/culture/tv-and-radio/i-m-a-grandmaster-and-the-queen-s-gambit-checks-out-20201102-p56an5.html

La partita decisiva, quando nell’ultimo episodio Beth Harmon se la deve vedere con il campione del mondo russo Borgov, è ispirata alla Ivanchuk-Wolff giocata all’interzonale di Biel del 1993, con una sequenza creata ad arte (deviando alla 37ª mossa dalla partita originale).

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Beth sacrifica la sua Donna per forzare poche mosse dopo una rinascita della stessa, ma la combinazione tattica non si esaurisce qui, perché il suo rivale può inscenare un contrattacco… e non vi dico come va a finire!

Vediamo per concludere un paio di posizioni “giocate” da Beth Harmon. Le soluzioni sono alla fine dell’articolo.

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Qui una tipica combinazione tattica: il Bianco muove e vince.

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Questo è invece un classico “problema”, infatti non appare durante una partita di torneo, ma quando alcuni giovani amici chiedono a Beth di trovare lo scacco matto in tre mosse.

I “problemi” sono composizioni create ad arte in cui non importa il fatto che il Bianco possa vincere alla lunga con mosse normali, avendo come in questo caso un vantaggio schiacciante; il solutore deve trovare l’uica via che conduce allo scacco matto nel numero di mosse assegnato. Gi “studi” invece sono posizioni verosimili, plausibili finali di partita, in cui il solutore deve trovare la sequenza vincente, generalmente molto velata e brillante. Per esempio in una delle partite disputate al campionato del Kentucky si ha la posizione che segue, in cui l’avversario di Beth Harmon gioca la mossa spontanea 1. Txh6 che si rivela perdente.

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La soluzione ricorda uno “studio” basato sul tema della “dominazione”. Di fatto dopo 1. Txh6? il Nero muove e vince. Come?

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SOLUZIONI

Combinazione tattica – 1. Dxg6+ Rxg6 2. T1f6+ Rg5 3. Tf5+ Rg6 4. T7f6+ Rh7 5. Th5+ Rg8 6. Tg5+ Rh7 7. Af5 matto.

Matto in tre mosse – 1. Rd7 Rg7 2. Cd6 e quindi:
2… Rf6 3. Ce8 matto;
2… Rh6 3. Cxf5 matto;
2… Rf8 3. Ce6 matto.

Posizione “studio” – 1… Rg7 2. Th5 Rg6 e la Torre nera non può sfuggire alla cattura, essendo “dominata” dai pezzi avversari e dagli attacchi doppi del Cavallo, per esempio dopo 3. Th4 Cf3+ oppure 3. Tc5 Cb3+.

P.S. (ATTENZIONE SPOILER) dalla posizione della partita decisiva tra Beth Harmon e il campione del mondo russo il gioco è proseguito con le mosse: 1. Dxf6 gxf6 2. Txf6 Rh7 3. Tf8 Dh5 4. e8=D Te2+ 5. Rf1 Dxh3+ 6. Rxe2 Dg2+ 7. Tf2 De4+ 8. Rd2.

1 commento per “La Regina degli Scacchi – un successo planetario

  1. Crazybishop
    22 novembre 2020 at 13:47

    Caro Roberto,

    anche io, come ormai credo tutti gli amanti degli scacchi hanno visto questa serie nel complesso piacevolissima e di sicuro, fra tutti i film con contenuti scacchistici, il più corretto dal punto di vista del gioco, grazie anche alla consulenza di Kasparov.
    Mi è piaciuta soprattutto l’ambientazione dell’America e del mondo anni sessanta ben rappresentata dai costumi agli oggetti e località per finire ai pezzi musicali.
    Da tempo vorrei intervenire sull’argomento partite mostrate nel film, se siano vere riproduzioni o no. Ho letto con piacere questo tuo articolo ma anche di altri. E ho visto e rivisto tante volte pima di addentrarmi in quello che sto per dire. Non credo di essere stato l’unico a notarlo e mi sembra strano che non sia stato riportato ed è per questo ho ancora alcune remore a mostrarlo.

    Quando Beth va a New York da Benny la prima sera gioca diverse simultanee con i suoi amici. Nell’ultima partita contro Benny stesso Beth vince con un matto, che fatto contro un giocatore di professione è un assurdo nella vita reale ma che nel film da quel tocco di ingenuità che lo rende piacevole e in fin dei conti serviva a dare quella spettacolarità che stimola lo spettatore non appassionato. Quella spettacolarità data a piene mani nel film e che ne favorisce il successo. Come sai lo scacchista è sempre stato visto come un musone introverso e con le partite noiose e infinite. Ben vengano questi film, anzi ce ne fossero stati altri prima, se possano portare nuova curiosità e appassionati.

    Dicevo nell’ultima simultanea, proprio contro Benny, il matto è la conclusione della partita giocata da Morphy all’Opera di Parigi contro i due amatori Duca di Brunswick e Conte Isouard. La partita è un classico della storia degli scacchi e un classico esempio della rapida mobilitazione dei pezzi, di cui Morphy era eccellente maestro. Scacco di Donna con sacrificio in ottava con matto di Torre.

    Mi sembra stano che io sia stato l’unico a riconoscerlo fra i tanti GM commentatori. Ma non ho trovato commenti al riguardo. Forse tu che sei più informato e sicuramente più aggiornato puoi smentirmi.

    Grazie per una tua risposta e complimenti per la rivista digitale che conduci da tantissimi anni

    Gianfranco Cilia

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