di Dario Mione
(editoriale TCS gennaio 2022)
Se si considera solo il punteggio, sembra che nella recente sfida per il titolo mondiale fra Magnus Carlsen e Ian Nepomniachtchi, terminata 7,5-3,5 in favore del norvegese, non ci sia stata storia. Volendo fare raffronti con precedenti illustri, era dal match Karpov–Korchnoj del 1981 che un campione non sconfiggeva lo sfidante con una differenza di 4 punti – quello terminò 11 a 7 –, mentre, viaggiando di altri nove anni indietro nel tempo, ci si imbatte nel solito “match del secolo”, in cui Bobby Fischer detronizzò Boris Spassky infliggendogli un pesante 12,5 a 8,5.
A ben vedere, il confronto fra Carlsen e Nepo ha più di un punto in comune con quello tra l’americano e il sovietico. In entrambi i casi, prima del match, il futuro perdente aveva uno score positivo nei confronti dell’avversario. In entrambi i casi il punto di svolta è stata la sesta partita, dopo la quale il vincitore ha preso il largo. Soprattutto nella recente sfida di Dubai, a determinare l’ingente disfatta è stato un crollo psicologico verticale: se nelle prime cinque partite Nepo aveva dato l’impressione di poter giocare alla pari con Carlsen, perdere la sesta, a partire da un finale tutto sommato equilibrato e dopo una maratona di 136 mosse, lo ha distrutto.
Se però Fischer non faceva mistero di voler annientare gli avversari, per Magnus il discorso è diverso: il norvegese, semplicemente, si è sempre dimostrato in grado di gestire meglio la pressione psicologica e questo, in tutti i suoi match per il titolo, è stato il suo vero punto di forza. Il punteggio di 7,5 a 3,5 con cui ha vinto la recente sfida non è tanto frutto di una netta supremazia alla scacchiera, quanto della capacità di mantenere i nervi saldi quando la situazione lo ha richiesto, cosa che non è riuscita affatto al russo, che a partire dall’ottava partita ha commesso gli errori più grossolani. Gli scacchi sono anche questo, del resto.
Dopo l’ennesimo trionfo, comunque, persino Carlsen ha dato quello che appare un segno di cedimento: se da un lato ha dichiarato che per lui «c’è ancora molta strada da fare» e che il suo prossimo obiettivo è raggiungere quota 2900 in lista Fide, dall’altro ha detto che potrebbe non avere il giusto stimolo per giocare un altro Mondiale, a meno che il suo sfidante non sia il francese Alireza Firouzja. Che sia davvero un segno di cedimento o un’abile mossa psicologica per destabilizzare gli avversari lo scopriremo solo al termine del torneo dei Candidati, previsto a metà anno, qualora il vincitore non sia il giovane di origine iraniana. Fatto sta che, quando un campione comincia a mettere dei paletti “à la Fischer”, non è mai un buon segno…
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