1) INTRODUZIONE
2) LABILITA' DI
CALCOLO
3) LA MEMORIA
4) LA CAPACITA' DI
VALUTAZIONE
5) LE INFORMAZIONI VERBALI
6) LA RAPPRESENTAZIONE
MENTALE
7) IL "SEGRETO DEI
MAESTRI"
8) TALENTO E AMBIENTE
9) MISURARE IL TALENTO
10) TEST
11) INSEGNAMENTO DEGLI
SCACCHI
1)
INTRODUZIONE
Grande maestro di scacchi si nasce o si
diventa? Che peso ha negli scacchi la predisposizione
naturale rispetto allo studio e allallenamento? Che
rapporto cé tra lintelligenza (ammesso che lintelligenza
si possa definire in modo sufficientemente univoco) e labilità
scacchistica? Quanto contano la forza di volontà, le
motivazioni profonde, la forma fisica, la capacità di
concentrazione e i condizionamenti ambientali sul
successo scacchistico? Si può prevedere, come viene
fatto in altre discipline sportive, se un agonista in
erba è sufficientemente dotato per ambire ai traguardi
più elevati?
Si tratta di argomenti ancora troppo poco studiati, quasi
"rimossi" dalla letteratura scacchistica per
motivi che sarebbe forse interessante analizzare. Ciò
almeno per quel che riguarda i paesi occidentali, mentre
in passato, nei paesi dellEuropa orientale, studi
ed esperimenti sono stati sicuramente compiuti, su
commissione delle varie federazioni scacchistiche
nazionali, ma per ovvi motivi i risultati ed i loro
possibili impieghi non sono stati quasi mai divulgati.
In Occidente, invece, sono da segnalare vari studi
compiuti sugli scacchi per iniziativa di ambienti
universitari di varie discipline (psicologia innanzitutto)
di cui in questo articolo cercheremo di offrire una
panoramica, in particolare riguardo ad alcuni esperimenti
compiuti negli anni Settanta e Ottanta.
Bisogna premettere che le teorie sugli scacchi formulate
dagli psicologi sono molto distanti - per metodo,
approccio e finalità - dalle classiche teorie di gioco
riportate dai manuali, anche se in qualche caso ne
confermano la validità dei principi. Infatti la pur
vastissima letteratura scacchistica mondiale è fondata
quasi esclusivamente sulle esperienze torneistiche, sulla
capacità didattica e sul "buon senso" dei
maestri che nei secoli hanno approfondito le conoscenze
tecniche del gioco, non su esperimenti scientifici
compiuti sui giocatori o su rigorose analisi statistiche.
2) LABILITA' DI
CALCOLO
In base ad una delle prime spiegazioni date, lelevata
abilità scacchistica veniva considerata come frutto di
una superiore capacità di calcolare rapidamente sequenze
di mosse e contromosse e di immagazzinare i prodotti di
questo calcolo in una memoria prodigiosa. Dagli studi di
Adriaan de Groot, nella metà degli anni Sessanta, è
invece emerso che i giocatori più forti e quelli più
deboli non differiscono in relazione allampiezza e
profondità dei loro calcoli di mosse: sia il giocatore
esperto che il principiante si limitano a prevedere
appena qualche mossa prima di decidere.
Più recentemente qualche studioso ha ripreso in esame
questo aspetto del problema, affermando che misurazioni
sofisticate consentono di cogliere differenze
significative nella capacità di calcolo di giocatori
forti e deboli. Ad esempio, N. Charness ha utilizzato un
campione di giocatori molto più ampio rispetto a quello
di de Groot e una gamma più ampia di test e problemi,
giungendo ad affermare che la profondità massima nella
ricerca delle mosse si riscontra nei giocatori più forti.
Anche Holding e Reynolds hanno trovato una significativa
correlazione tra la categoria scacchistica e il numero di
mosse viste (previste) in avanti.
Cè chi afferma che labilità manifestata da
alcuni forti giocatori nel gioco lampo non può essere
attribuita alla capacità di calcolo, data la rapidità
decisionale richiesta. Scrive il grande maestro inglese
Jonathan Levitt nel libro "Il Genio negli Scacchi"
(Messaggerie Scacchistiche 1998): "I giocatori
deboli spendono più tempo a considerare mosse deboli,
mentre i giocatori forti impiegano più tempo a
considerare mosse forti. Ciò significa che i forti
giocatori differiscono dai giocatori deboli
principalmente nella percezione intuitiva, non nella
capacità di elaborazione. È un risultato cui si
potrebbe quasi arrivare per deduzione, senza esperimenti,
osservando la qualità del gioco lampo dei grandi
giocatori. Quando è in buona forma, Kasparov è in grado
di produrre partite lampo delle quali un grande maestro
medio sarebbe orgoglioso anche se la partita fosse durata
tutto il pomeriggio."
Altri ribattono che nel gioco veloce il calcolo delle
mosse è praticamente inconscio, istantaneo, tuttavia
presente.
3) LA MEMORIA
Nel tentativo di indagare ciò che determina labilità
scacchistica, lo psicologo Adriaan de Groot sottopose
giocatori forti e giocatori deboli a numerosi test che
richiedevano limpiego di funzioni cognitive diverse.
A suo avviso il compito che meglio differenziava i
giocatori di diversa abilità era quello che richiedeva
loro di ricordare una posizione sulla scacchiera che era
stata mostrata per pochi secondi. I giocatori più forti
erano in grado di riprodurre quasi perfettamente la
posizione osservata, mentre i giocatori più deboli
ricordavano solo parzialmente la posizione.
Questo esperimento è stato effettuato anche da altri
studiosi (Charness nel 1976; Chase e Simon, 1973; Frey e
Adesman, 1976; Goldin, 1979) con analoghi risultati. In
seguito a questi esperimenti, gran parte della successiva
ricerca sullabilità scacchistica si è interessata
ai processi di memoria.
Inizialmente si pensò che questa maggiore capacità dei
forti scacchisti di ricordare correttamente una posizione
vista fosse dovuta o ad una superiore abilità percettiva
o ad una più efficace memoria a breve termine.
Successivamente, però, queste spiegazioni vennero
scartate, poiché si notò che i giocatori forti non
mostravano performance migliori dei giocatori deboli nel
ricordare posizioni casuali dei pezzi sulla scacchiera o
materiale non scacchistico. Questo stava ad indicare che
la capacità di ricordare le posizioni sulla scacchiera
non dipende dalla pura e semplice memoria, bensì dalla
superiore conoscenza del gioco. Si giunse così alla
conclusione che ciò che caratterizza il forte giocatore
è la sua capacità di accedere rapidamente ad un insieme
di modelli scacchistici riconosciuti (Simon ha affermato
che un maestro di scacchi ha un repertorio di almeno 50.000
modelli memorizzati). Labilità scacchistica
dipenderebbe dunque dalla qualità e dallestensione
della conoscenza specifica immagazzinata e dalla
possibilità di accedervi e di riconoscere modelli.
Secondo Chase e Simon labilità di un giocatore di
scacchi aumenta man mano che i modelli specifici vengono
immagazzinati nella memoria a lungo termine.
4) LA CAPACITA' DI
VALUTAZIONE
Dopo che de Groot ebbe dimostrato che i giocatori più
forti e quelli più deboli non differiscono in relazione
allampiezza e profondità dei loro calcoli di mosse,
venne avanzata unaltra spiegazione. Ciò che
distingue giocatori di forza diversa sarebbe la capacità
di scelta della mossa migliore: i giocatori forti hanno
molte più probabilità di selezionare la mossa migliore
rispetto ai giocatori deboli. Secondo questa impostazione,
non è tanto determinante il calcolo in avanti delle
mosse se poi il valore delle posizioni risultanti non
viene valutato correttamente: linformazione
guadagnata attraverso la ricerca in avanti non sarebbe in
grado di guidare la scelta della mossa. Lipotesi,
sostenuta da Holding e Pfau, è dunque questa: i
giocatori di forza diversa differiscono nella loro
capacità valutativa. In parole povere, una ricerca breve
conclusa da una valutazione corretta e realistica è una
guida più utile per la scelta della mossa rispetto ad
una lunga ricerca conclusa da una valutazione scorretta o
povera.
Holding e Reynolds hanno inoltre rilevato che gli
scacchisti più esperti riescono, oltre che a selezionare
più facilmente le mosse buone, anche a fornire
valutazioni migliori della forza relativa o del vantaggio
del Bianco e del Nero in una posizione data, anche quando
si tratta di posizioni casuali in cui non possono essere
riconosciuti modelli familiari.
5) LE INFORMAZIONI
VERBALI
Come può essere facilmente notato, i fattori di volta in
volta chiamati in causa quali determinanti dellabilità
scacchistica sono numerosi e diversi. Un punto sul quale
pare esserci accordo è che altri fattori, oltre alla
memoria pura e semplice postulata nelle prime indagini,
giocano un ruolo importante.
Più recentemente Pfau e Murphy hanno cercato di proporre
un modello che spieghi in che modo le varie componenti
interagiscono nel determinare labilità
scacchistica. In questa loro teoria, suffragata da una
serie di test, i due autori presentano un nuovo fattore,
in precedenza mai esaminato, ovvero la conoscenza verbale
degli scacchi (relativa a principi generali delle
aperture, aperture specifiche, idee tattiche, strategie
del mediogioco, modelli di difesa, finali...). La
conoscenza verbale specifica degli scacchi sarebbe molto
utile in quanto servirebbe a codificare molti piani e
procedure tipici così come a fornire una rete di
informazioni scacchistiche che possono essere impiegate
nel fare valutazioni delle posizioni durante il processo
di ricerca in avanti. Gli autori di questo modello
interpretativo non intendono affatto sostenere che luso
di informazioni verbali, da solo, sia la base dellabilità
scacchistica. Tuttavia essi ritengono che si tratti di
uno dei fattori determinanti, non semplicemente di un
fattore correlato.
Decisamente contrario a questi tesi è il già citato
Jonathan Levitt, che scrive: "Nel senso più stretto
della parola verbale, gli scacchi sono
essenzialmente unattività non verbale" Le
parole hanno un ruolo molto limitato nei processi di
pensiero scacchistico. Talvolta è possibile formulare a
parole a che punto si è nei propri pensieri su una
posizione: ciò può essere utile per aiutare a non
dimenticare dove si è. Senza riferimento agli scacchi,
il matematico irlandese Hamilton paragonava il pensiero
alla costruzione di un tunnel: le parole, come travicelli,
aiutano a sostenere il progresso già realizzato; lo
scavo in sé è non-verbale".
6) LA RAPPRESENTAZIONE
MENTALE
Quale forma di rappresentazione interna delle posizioni
sviluppano i giocatori? Non è sicuro che si tratti di
una visualizzazione, poiché molti giocatori hanno negato
di far uso di immagini visive ed anche Binet giunse a
questa conclusione nelle sue indagini sui giocatori di
scacchi ciechi. Alcuni giocatori parlano piuttosto di
"linee di forza" o di altri costrutti simili,
quindi di forme astratte di immaginazione e non di
visualizzazioni reali della scacchiera. Qualcuno ha
sottolineato che la scelta della mossa può essere
certamente effettuata senza luso dellimmagine,
poiché i computer eseguono questo compito senza alcuna
rappresentazione visiva.
Ancora non si sa, insomma, se il giocatore "vede"
o "pensa" le mosse successive. Rimane inoltre
da capire in che modo interagiscono i diversi fattori (memoria
nel riconoscimento di modelli, abilità di valutazione,
abilità di calcolo delle mosse, conoscenza verbale).
Secondo Pfau e Murphy solo una teoria che tenga
simultaneamente conto di tutti i fattori implicati può
essere appropriata per cercare di comprendere i complessi
meccanismi coinvolti nellabilità scacchistica
umana.
7) IL "SEGRETO DEI
MAESTRI"
Mentre alcuni ricercatori si sono occupati degli esperti,
per vedere come organizzano la loro conoscenza e come la
usano, altri hanno studiato il lungo e talvolta difficile
percorso che fa di un principiante un esperto. Hubert
Dreyfus e Stuart Dreyfus, due psicologi di Berkeley,
hanno esaminato vari processi di apprendimento (come si
diventa pilota di linea, come si impara a giocare a
scacchi, come si arriva a padroneggiare una lingua
straniera): in un loro libro, Mind Over Machine,
descrivono i cinque stadi che in tutti i casi si devono
attraversare dallinizio alla padronanza completa
della materia.
Un articolo di Robert J. Trotter, apparso su Psicologia
Contemporanea di novembre-dicembre 1988, cerca di
spiegare come il grande maestro di scacchi, il
concertista, il fisico nucleare, ma anche lolimpionico
di nuoto o un abile tassista che conosca palmo a palmo le
strade di una metropoli, abbiano tutti qualcosa in comune,
dal modo di pensare alla padronanza del proprio campo. I
cinque stadi postulati dai Dreyfus, e riportati da
Trotter nellarticolo citato, sono: principiante,
principiante evoluto, competenza, perizia, maestria.
Allo stadio della maestria (esperti di scacchi, ovvero
"maestri", possiamo considerare allincirca
l1% superiore dei giocatori) si riconosce un certo
tipo di posizione sulla scacchiera e intuitivamente si
produce una strategia adeguata, calcolando poi
razionalmente la mossa più utile per realizzare il piano.
Un vero maestro non applica regole, non prende decisioni
o risolve problemi: fa quello che gli viene naturale, e
quasi sempre la cosa funziona. Quando fallisce, spesso è
perché si trova davanti un avversario del suo livello.
Per lesperto che ha raggiunto la maestria, la sua
disciplina è diventata a tal punto parte di lui stesso
che ormai non ne è consapevole più di quanto lo sia del
proprio corpo. Cosí un grande maestro di scacchi è in
grado di riconoscere decine di migliaia di posizioni per
le quali trova immediatamente la mossa più utile.
Secondo i Dreyfus, i processi mentali di uno scacchista
sono in un certo senso identici a quelli di qualunque
altro esperto: dal pilota, al chirurgo, allavvocato,
al giocatore di basket.
Losservazione fondamentale è che il vero esperto,
il maestro, non applica regole, non prende decisioni e
non si affatica a risolvere problemi: agisce
spontaneamente, o, se preferiamo, guidato da quella cosa
inafferabile che comunemente chiamiamo intuizione. A
questo proposito citiamo ancora Jonathan Levitt che nel
libro Il Genio negli Scacchi scrive: "Lintuizione
consta di idee non verbali, non formulate, che balzano
dentro il processo di pensiero a causa dellesperienza
precedente". Levitt a sua volta cita il matematico
Poincaré, che scrisse nel 1913: "La pura logica non
ci porterebbe ad altro che a formulare tautologie... Con
la logica noi dimostriamo, ma è con lintuizione
che scopriamo".
Gerald Abrahams, nel suo libro The Chess Mind (Penguin,
1951), ha descritto la "visione scacchistica"
come la "intuizione non forzata di possibilità
attraverso locchio della mente", Infine, più
di cinquantanni fa, il grande maestro Esteban Canal,
riferendosi alla straordinaria naturalezza e rapidità di
gioco di Capablanca, scriveva: "Soltanto i maestri
mediocri ragionano mentre giocano".
8) TALENTO E AMBIENTE
Le ricerche accademiche citate in precedenza eludono una
questione forse marginale dal punto di vista degli studi
psicologici, ma centrale per chi si occupa di
insegnamento e allenamento in campo scacchistico: per
raggiungere leccellenza scacchistica, è dunque
sufficiente giocare molto e immagazzinare il maggior
numero possibile di conoscenze teorico-pratiche, o
contano di più la predisposizione naturale, le
motivazioni e lambiente circostante?
Troviamo una risposta credibile a questo dilemma in un
libro di Robert J. Sternberg, Teorie dellintelligenza,
edito Bompiani 1987: "Secondo il mio punto di vista,
il motivo per cui, di due persone che giocano molto a
scacchi, una può diventare molto esperta e laltra
rimanere a livelli bassi, è che la prima è stata capace
di utilizzare le informazioni in modo particolarmente
efficace e laltra no. Le maggiori conoscenze del
giocatore esperto sono il risultato, non la causa, della
sua bravura, e questa deriva dalla sua capacità di
organizzare fruttuosamente linformazione che ha
accumulato in molte e molte ore di gioco".
Lo sviluppo del talento è stato preso in esame da un
punto di vista diverso anche dallo psicologo americano
David Feldman, che nel volume Quando la natura fa centro.
Bambini con talenti eccezionali (Giunti 1991) illustra
uno studio longitudinale effettuato su sei bambini
prodigio e presenta una teoria che cerca di spiegare il
fenomeno. Secondo Feldman lo sviluppo di un bambino
prodigio è reso possibile dalla interazione di un
insieme di forze che Feldman chiama co-incidenza: "È
la convergenza fortuita di inclinazioni individuali
altamente specifiche con una specifica ricettività
ambientale a consentire lemergere di un bambino
prodigio".
Quali sono questi elementi dalla cui delicata interazione
dipendono lo sviluppo e lespressione del potenziale
umano? Innanzitutto è necessario un talento particolare
del bambino, un certo corredo biologico, una attitudine
verso un ambito di attività. In secondo luogo è
indispensabile che il campo di sapere prescelto si trovi
in uno stadio particolare del suo sviluppo storico che
sia in sintonia con il potenziale del bambino, perché le
capacità e i talenti necessari per eccellere in un
settore cambiano e si evolvono nel corso del tempo.
Feldman, ad esempio, si chiede se Einstein avrebbe
portato lo stesso contributo alla fisica se fosse vissuto
allepoca di Galileo.
Un altro elemento fondamentale è limpegno, la
capacità di sforzo, da parte del bambino. Tutti i
soggetti descritti da Feldman dedicavano infatti molte
ore della giornata allattività prescelta.
È inoltre indispensabile il riconoscimento del talento
eccezionale da parte della famiglia e limpegno ad
alimentarlo, attraverso lincoraggiamento, la
comprensione, linteresse, la messa a disposizione
di validi maestri.
Per finire, occorre una società dominata da una cultura
che riconosca e sostenga leccellenza in quel
particolare ambito di attività e di conoscenza. Lo
stesso Feldman sottolinea che gli scacchisti americani
ritengono che la mancanza di interesse e di appoggio da
parte delle istituzioni ostacoli gli sforzi per dedicarsi
al gioco in maniera continuativa. (Ricordiamo che due dei
soggetti esaminati da Feldman avevano mostrato un talento
specifico per gli scacchi quando erano bambini, ma
finirono con labbandonare lo studio serio del gioco
nelletà delladolescenza).
Secondo Feldman, dunque, affinché il potenziale di un
bambino prodigio si sviluppi nelletà adulta è
indispensabile questa co-incidenza tra unattitudine
innata, un particolare ambito che abbia raggiunto un
certo grado di sviluppo, una famiglia sensibile e
ricettiva, unepoca storica culturalmente propizia.
È chiaro che questa co-incidenza è un fenomeno che
presenta poche probabilità di verificarsi, e ciò spiega
perché il raggiungimento delleccellenza nelletà
adulta sia così raro.
La teoria sostenuta da Feldman si adatta perfettamente a
tutto ciò che sappiamo sulle giovani vite di Garry
Kasparov, delle sorelle Polgar e di altri scacchisti
prodigio: sostegno della famiglia, ambiente favorevole,
buoni istruttori, modelli positivi a cui ispirarsi,
totale e appassionata dedizione agli scacchi. Contrasta
invece, e molto nettamente, con le biografie di altri
grandi campioni individualisti come Alekhine, Capablanca
e Fischer. Questultimo, più di tutti, è il
prototipo delluomo che si è fatto da sé, lottando
fin dalla prima infanzia in un ambiente ostile e
competitivo, e traendo forse proprio dagli ostacoli e
dalla durezza della vita la disperata volontà di
raggiungere i vertici mondiali.
9) MISURARE IL TALENTO
Jonathan Levitt, nel libro più volte citato in questo
articolo, sostiene senza infigimenti la tesi della
priorità delle doti soggettive - il cosiddetto talento -
arrivando ad ipotizzare, quasi provocatoriamente, una
relazione tra punteggio Elo (lindice di forza di un
giocatore di scacchi) e QI (il "famigerato"
quoziente intellettivo).
Secondo Levitt il talento è dunque la condizione
imprescindibile per raggiungere leccellenza
scacchistica, ma anchegli sottolinea limportanza
delle altre componenti che abbiamo già incontrato (ambiente
propizio, capacità di applicarsi duramente e per un
lungo periodo, forza di volontà) aggiungendo a queste la
"motivazione estetica", ovvero lafflato
"artistico" verso gli scacchi, che egli afferma
di aver riscontrato chiaramente in tutti i grandi maestri
di punta da lui conosciuti.
Lautore inglese riporta inoltre uno dei "test
di talento" ideati dal fisiologo ceco Pavel Cerny,
che nel 1960 svolse una serie di esperimenti su numerosi
giovani scacchisti. Pare che lesercizio seguente
abbia ottenuto unalta percentuale di successo nel
predire i futuri grandi maestri.
10) TEST
Mettere sulla scacchiera un Cavallo bianco in a1 e
quattro pedoni neri in c3, f3, c6, f6. Muove solo il
Bianco.
Il
test sta tutto nel tempo impiegato per effettuare unintera
serie di mosse che conduca il Cavallo bianco a visitare
tutte le caselle qui di seguito specificate nellordine
dato. Nel corso della lunga manovra il Cavallo non deve
catturare alcun pedone nero, né porsi mai in presa (attenzione:
i pedoni neri muovono verso il basso). Le case da
visitare col Cavallo sono, rispettando la sequenza: b1, c1,
d1, e1, f1, g1, h1, a2, c2, f2, h2, a3, b3, d3 e così
via fino a raggiungere h8. La case visitate per andare,
facciamo un esempio, da a1 a b1, non vanno cancellate
dalla lista, ma dovranno essere rivisitate al momento
appropriato.
Dopo aver svolto lesercizio fare una breve pausa,
quindi ripetere lintero processo e misurare di
nuovo il tempo ottenuto.
La
soluzione potrebbe cominciare così: Cc2 - Ca3 - Cb1 - Ca3
- Cc2 - Ca1 - Cb3 - Cc1 - Cd3 - Cf2 - Cd1 - Ce3 - Cc2 -
Ce1 - Cc2 - Ce3 - Cf1 - Cg3 - Ch1 - Cf2 ecc.
Indicatori di un giocatore promettente sono sia un buon
tempo alla prima prova (tre minuti è classe da grande
maestro, cinque minuti un livello da categoria nazionale)
sia un netto miglioramento tra la prima e la seconda
prova. Una diminuzione del 25% circa sembra indicare una
buona capacità di apprendimento.
Nel suo libro Levitt propone tutta una serie di "test
di talento", mentre altri dati sugli esperimenti del
dr. Cerni sono riportati da Hartston e Wason nel libro
The Psychology of Chess (ed. Batsford, 1983).
11) INSEGNAMENTO DEGLI
SCACCHI
Due approcci per due diverse finalità
Fin dal livello più elementare dellinsegnamento
degli scacchi ci si imbatte in due concezioni tra loro
piuttosto distanti.
La prima tende ad esaltare laspetto ludico del
gioco fin dai primissimi approcci, per rimandare ad un
secondo tempo la terminologia e le questioni più
tecniche non strettamente indispensabili. Questo metodo
é normalmente da privilegiare in ambito scolastico,
soprattutto con bambini inferiori ai dieci anni, e in
tutte quelle occasioni in cui gli scacchi vengono
adoperati come strumento pedagogico, quindi con fini
educativi generali piuttosto che "scacchistici"
in senso stretto.
La seconda concezione è quella che traspare, per esempio,
da molti manuali per ragazzi che erano in uso nelle
scuole scacchistiche ex-sovietiche: fin dallinizio
si richiede da parte del giovane allievo una forte
motivazione, imponendo lapprendimento di termini e
nozioni tecniche di una certa complessità ancor prima di
cominciare a giocare. Questo metodo può avere un impatto
"selettivo" dai non trascurabili effetti, sia
positivi che negativi: lallievo sarà portato a
mettere alla prova, ben oltre la semplice voglia di
giocare, la sua volontà e capacità di migliorarsi
significativamente. Chi riuscirà sarà naturalmente
spronato verso le fasi successive, ma per gli altri è da
mettere in preventivo un alto rischio di caduta di
interesse, se non proprio di abbandono.
A un livello tecnico non elementare, per esempio per i
corsi di avviamento allagonismo o per i corsi
federali di perfezionamento, quando è richiesta da parte
di tutti una forte applicazione e una forte motivazione
per il raggiungimento di traguardi personali più elevati,
questo secondo approccio appare più in linea con le
esigenze di altissima specializzazione tecnica imposte
dallagonismo scacchistico odierno.
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