Lettera sulla wild card a Mariotti per le Olimpiadi
"Preferisco vedere Sergio giocare a scacchi come lui sa"


Sono Claudio Evangelisti, 51 anni, maestro, di Pisa. Mi inserisco, non posso farne a meno, nella questione Mariotti e nella replica di Borgo alla autocandidatura del vecchio grande maestro.
Premetto che in ogni aspetto della vita cerco sempre di capire le ragioni degli altri così come adesso cerco di comprendere le motivazioni di Borgo, che purtroppo non conosco, ma cerco di immaginarlo persona gradevolissima che altro non fa che difendere la posizione conquistata con indubbio duro lavoro e per la quale riconosco grande merito, ma non basta.
Non basta l'età per far pendere la bilancia a favore di un giovane Staunton contro un nonpiùverde Morphy. Quando l'uno muoveva pezzi sulla scacchiera l'altro muoveva i pensieri, gli entusiasmi degli scacchisti.
Mariotti ha 56 anni. Se chiede di essere ammesso nella nazionale lo fa con grande consapevolezza delle sue attuali capacità agonistiche e probabilmente perché ha voglia di giocare sapendo di poter far bene. E' vero, si toglie una preziosa esperienza internazionale ad un giovane; ma si restituisce un mondo a quelli della mia età e non solo a noi. Non credo l'Italia lotti per il primo posto in classifica, anzi. Un giovane preparato ed allenato ci può avvicinare alla vetta della classifica di 4 o 5 posizioni? Barattiamo un 35° posto con un 40° ? E' questo il piatto di lenticchie che ci viene propinato?
No grazie, preferisco vedere Sergio giocare a scacchi come lui sa.
Di nuovo cordiali saluti.

Claudio Evangelisti

Non ho difficoltà a riconoscere che la lettera del maestro Evangelisti (sommata a non poche altre dello stesso orientamento) mette in minoranza la posizione di chi, come il sottoscritto, ritiene non opportuna la convocazione di Mariotti. Aggiungo che ciò quasi mi fa piacere, nel senso che evidentemente l'entusiasmo che Mariotti infuse a tanti di noi venti o trenta anni fa è ancora vivo.
Restano però da mettere a fuoco alcune questioni di non poco conto. La FSI varò proprio con la presidenza Mariotti una politica favorevole alla valorizzazione dei nostri pochi (e aggiungerei temerari) professionisti. I quali per dirla tutta oggi come oggi non sono più né giovani né particolarmente promettenti, se messi a confronto con lo scacchismo mondiale. Certo ci sono stati nell'ultimo decennio (e tutti speriamo ce ne siano ancora) alcuni luminosi episodi, ma nulla che possa far sperare in un'Italia davvero competitiva sulla scena internazionale. I sei anni di presidenza Zichichi hanno portato avanti questa politica, strutturando in modo sufficientemente stabile i diritti e i doveri dei papabili per le squadre nazionali. Ciò ha permesso all'Italia di essere dignitosamente rappresentata in posti dove un dilettante ben difficilmente vorrebbe (o potrebbe) andare per tre settimane, come Erevan od Elista, e in tanti altri eventi del sempre più fitto calendario internazionale.
Ora la FSI ha preso una decisione che, rivalutando il dilettantismo (di lusso ben inteso) del grande maestro Mariotti, mette inevitabilmente in discussione i presupposti di cui sopra.
Considerando che gli scacchi stanno per essere messi alla porta dal Comitato Olimpico Internazionale (ancor prima di esserci entrati davvero) e che di conseguenza potrebbe in un prossimo futuro venir meno anche lo status della FSI di federazione associata al CONI, la decisione di convocare un giocatore molto poco attivo e lontano dai vertici della graduatoria apre anzitempo un dibattito cruciale: gli scacchi in Italia vogliono essere un gioco o un'attività agonistica che richiede un'alta specializzazione e una continua preparazione? Abbiamo ancora bisogno di giocatori professionisti?
Personalmente non ho pregiudizi, anzi ritengo vergognoso che per giocare a scacchi oggi ci si debba munire di assicurazione (obbligatoria), di un certificato medico di idoneità ed eventualmente anche di altri documenti per non essere vittime involontarie dei controlli antidoping. Molte volte in questi anni di corteggiamento olimpico ho avuto la sensazione che gli scacchisti si definissero atleti per opportunismo più che per convinzione, continuando a ritenersi in cuor loro, romanticamente, dei "giocatori" e degli "artisti".
Ma vorrei che a Borgo e colleghi venissero date risposte chiare.

Roberto Messa

 



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