Negli ultimi tempi gli scacchi hanno riconquistato le
pagine dei giornali "grazie" ad alcuni
singolari fatti di cronaca, come al solito enfatizzati
poiché, in quanto scacchisti, siamo oggetto di una
curiosità particolare, quasi morbosa. Ci abbiamo fatto
il callo! Più lusinghiero è il fatto che il cinema, la
letteratura, la musica e la pubblicità sfruttino sempre
più spesso il fascino e il mistero dei nostri 32 pezzi
di legno, ma gli scacchi in tutto ciò c'entrano solo
fino a un certo punto.
Quand'ecco, finalmente, entra in scena un nuovo campione,
Ruslan Ponomariov, il quale riesce a catturare
l'attenzione dei media come ai tempi del giovane Kasparov.
Non sappiamo se il diciottenne ucraino ha la stoffa per
ricalcare i trionfi di Garry negli anni Ottanta e
dubitiamo alquanto che possa eguagliare il russo sul
terreno del carisma e della comunicazione, ma di certo la
sua ascesa sta per alterare, favorevolmente, un quadro
ingessato ormai da troppo tempo.
La caduta di immagine dei protagonisti degli anni Novanta
è ben dimostrata dall'interesse quasi nullo suscitato
dal match (senza titolo in palio) che si è svolto in
dicembre a Mosca tra Kramnik e Kasparov e che ha fatto
sbadigliare perfino noi scacchisti. Al prossimo ricambio
d'aria contribuirà, insieme a Ponomariov, la nuova
generazione di baby-gm: l'azerbaigiano Radjabov,
l'indiano Harikrishna, la sua connazionale Koneru e tanti
altri nomi ancora poco noti, di fronte ai quali il
francese Etienne Bacrot sembra quasi un "diciannovenne
sul viale del tramonto". Al tempo stesso cambierà
la geografia scacchistica: l'Europa occidentale e gli
Stati Uniti assorbiranno gli assi sfornati dai paesi
emergenti, ma difficilmente potranno rigenerare i propri
vivai. La stessa scuola russa potrebbe perdere il suo
primato, mentre i tempi di riflessione diminuiranno
ulteriormente per ostacolare il cosiddetto "doping
elettronico".
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