Sprezzanti del pericolo, credo che tutti noi vorremo
provare ad essere campioni del mondo di scacchi. Per una
stagione o almeno per un giorno, per la Fide o per
un'altra sigla a piacere. In questo modo potremmo anche
noi sperimentare - sprezzanti del pericolo - quel
misterioso cocktail di esaltazione e paura che sembra
influenzare la psiche di quei fortunati che, per forza o
per caso, sono saliti sul gradino più alto di questa
disciplina, che Kasparov ancora giovane definiva: "lo
sport più violento che esista".
Ciò vagheggiavo osservando il comportamento di Ruslan
Ponomariov che di punto in bianco ha deciso di farsi
detronizzare a tavolino e di perdere forse l'unica
occasione della sua vita di giocare un match da un
milione di dollari con Kasparov. Che Ponomariov, due
occhi di ghiaccio e un portamento che sembrano strappati
agli sterminati campi di grano della sua Ucraina, potesse
emulare le bizze di Fischer (che patì l'esaltazione e il
terrore di diventare campione del mondo perfino prima e
durante la conquista del titolo) non l'avrei mai davvero
immaginato.
Lo stesso Kasparov, un campione e un uomo che la paura ha
sempre preferito incuterla agli altri, ha già messo le
mani avanti annunciando che tra non molto abbandonerà il
professionismo, non sentendosela più di confrontarsi con
la "pepsi generation" (sua definizione per i
baby gm che, per mantenersi concentrati nelle partite a
cadenza olimpica Fide con incremento di 30 secondi per
mossa, assumerebbero dosi sospette di caffeina attraverso
le bibite gassate). E che dire del mite Kramnik, che dopo
aver rilevato la corona di Garry è stato alla larga dai
tornei veri per un anno e mezzo?
Chi invece non sembra aver alcuna intenzione di appendere
la scacchiera al chiodo è Enrico Paoli, il nostro grande
maestro ad honorem, che per festeggiare il suo recente 95º
compleanno si è iscritto al super-open di Saint Vincent.
Un record mondiale di longevità scacchistica. Tanti
auguri, Maestro!
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