Quanto vale una bella partita?

del maestro internazionale Roberto Messa


Alcuni recenti episodi mi hanno portato a riflettere su un argomento vecchio quasi quanto gli scacchi: come valorizzare i tornei sul piano commerciale al fine di consentire una giusta remunerazione dei giocatori. Ecco i fatti: ai recenti campionati europei di Istanbul, validi come qualificazione a non si sa più quale campionato del mondo, molti grandi maestri delle ormai esangui federazioni scacchistiche dell'est hanno dovuto pagarsi le spese di viaggio e soggiorno, spendendo per il solo albergo circa 1500 euro a testa. Ciò ha trasformato la gara in una sorta di lotteria (il montepremi ammontava a circa 180.000 euro nel torneo assoluto e circa 40.000 nel femminile) provocando una serie di proteste e recriminazioni. I giocatori hanno accusato l'organizzazione di incamerare una quota dei ricavi alberghieri, l'organizzazione ha candidamente replicato che quella quota era a dir poco indispensabile per far quadrare i conti della manifestazione, dato che le sponsorizzazioni reperite non coprivano neppure il 50% del montepremi, senza contare tutti i costi aggiuntivi. L'associazione delle federazioni scacchistiche europee, chiamata in causa in quanto ente che ha la titolarità del campionato continentale, precisava che quella di Istanbul era comunque l'unica candidatura pervenuta e che in questo scenario i grandi maestri dovevano guardare in faccia la realtà ed eventualmente rivolgere le loro istanze alle rispettive federazioni nazionali, incapaci perfino di spesare i propri rappresentanti nel torneo individuale più importante dell'anno. Poche settimane dopo l'organizzatore di un buon torneo di 17ª categoria, dotato di un budget complessivo di 250.000 euro, lamentava che i giocatori professionisti non sarebbero consapevoli del loro reale valore commerciale, aggiungendo che per gli scacchi il più delle volte si dovrebbe parlare di mecenati piuttosto che di sponsor con un adeguato pubblicitario (ciò a dispetto dell'impatto mediatico relativamente buono ottenuto dal suo torneo!). Sullo sfondo la triste vicenda dei campionati del mondo: il match Ponomariov-Kasparov è definitivamente naufragato, mentre pare che uno degli ostacoli all'organizzazione del match Kramnik-Leko sia il milione di euro al di sotto del quale il campione russo si rifiuta di mettere in palio il suo titolo ufficioso. D'altro canto i campionati della Fide dell'ultimo decennio sono dipesi principalmente dai finanziamenti a fondo perduto del discusso presidente Kirsan Ilyumzhinov.
Bisogna dunque concludere che gli eventi scacchistici sono sostanzialmente privi di valore? I vari tentativi di trasmettere le partite in diretta televisiva hanno dimostrato che gli scacchi non si prestano a questo tipo di "spettacolarizzazione", se non per qualche rapidissimo spezzone di partite a cadenza veloce. Il problema vero è che in realtà le partite dei grandi maestri hanno un vasto pubblico planetario, abituato da sempre ad essere spettatore appassionato e fedele, ma non pagante: le partite vengono pubblicate liberamente su riviste, giornali e siti internet e confluiscono altrettanto liberamente nei database su CDrom. Tutto ciò è molto positivo per la diffusione della conoscenza scacchistica, ma è anche, se vogliamo essere onesti ed obiettivi, la causa vera della crisi del professionismo scacchistico. È un fatto che chi pubblica le partite di scacchi ne trae un utile mediamente superiore a chi le produce!
Purtroppo il problema del copyright sulle partite, sollevato quarant'anni fa da Robert Fischer, ma anche da altri meno celebri prima e dopo di lui, è allo stato dei fatti poco più che un'utopia. Ma sono convinto che gli scacchisti non riusciranno neppure a mettere a fuoco il concetto del loro "valore commerciale" fino a quando le partite non avranno un prezzo, come avviene in qualsiasi altra disciplina agonistica.

 



Autorizzazione del tribunale di Brescia n. 3/2000 del 01/02/2000
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